Per questo tra i rischi che vanno considerati nella definizione delle strategie aziendali, diventa senza dubbio fondamentale il rischio reputazionale.
Il rischio reputazionale è il rischio più temuto dalle aziende, soprattutto per la difficoltà di rilevazione, misurazione e contenimento delle conseguenze.
Ci troviamo in una società globalizzata, dove tutti sono connessi e qualsiasi notizia diviene di dominio pubblico in un batter d’occhio.
Ogni giorno ascoltiamo la radio, guardiamo la televisione, leggiamo i giornali, navighiamo in internet, comunichiamo attraverso uno o più social network.
La conoscenza genera giudizio e la reputazione è il giudizio sul comportamento di una persona o di un’azienda.
La reputazione incide sul valore del brand di un’azienda con i seguenti pesi:
- 40% impatto sociale e ambientale
- 35% prodotto
- 25% performance economiche-finanziarie
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Il rischio reputazionale può definirsi come la possibilità che la diffusione di notizie negative concernenti le modalità di gestione di un’impresa, siano esse rispondenti al vero oppure no, compromettano la credibilità, l’affidabilità relativamente ai suoi prodotti/servizi.
Le conseguenze possono essere:
- Perdita di quote di mercato
- Diminuzione del valore del brand
- Perdita di relazioni strategiche con partner, fornitori
- Difficoltà nel reclutare/trattenere talenti
- Downgrade delle agenzie di rating
- Incremento dei costi di azioni legislative e regolamentari
Il rischio reputazionale può essere descritto come un rischio di primaria importanza che può determinare l’espulsione dell’impresa dall’arena competitiva (delegittimazione da parte degli stakeholder, consumatori o clienti).
L’impresa si manifesta in presenza di 2 condizioni:
- L’impresa è direttamente responsabile delle scelte che incidono negativamente sulla sua reputazione
- Si registra presenza di fattori esterni o interni tali da incidere sull’opinione interna o esterna che si ha dell’azienda
I rischi reputazionali emergono da:
- incidenti che riguardano salute e sicurezza
- eventi e crisi operative (per esempio inquinamento)
- richiami di prodotti ed errori nel controllo qualità
- interruzione attività e servizi
- irregolarità e perdite finanziarie
- partnership negative con terzi
- investigazioni legali e normative
- questioni e violazioni etiche
- pubblicità ingannevole
- violazione della privacy
La reputazione non è qualcosa di astratto e teorico, ma in termini attivi e operativi è un insieme di mosse da pianificare e da eseguire per costruire e comunicare l’autorevolezza dell’azienda in quanto parte attiva di un sistema.
L’azienda che vuole investire sull’asset immateriale più importante deve pianificare le strategie più opportune, passando dalla Corporate communication ai social media.
Un esempio di costruzione di immagine positiva del brand è il seguente.
La compagnia aerea svedese Sas aveva lanciato una campagna a favore di una politica antisovranista con un interrogativo veicolato attraverso un video su YouTube che chiedeva:
Cos'è tipicamente scandinavo?
Assolutamente nulla.
Perché i mulini a vento sono persiani,
Perché le biciclette sono tedesche
Le polpette turche o austriache.
Così i simboli e le usanze del nord-Europa sono mutuate dall’incontro vincente con altre culture, grazie anche ai viaggi.
Obiettivo della campagna era quello di porre l’accento sull’integrazione.
Lo spot è diventato un caso nazionale, è stato interpretato come un insulto all’identità ed ai valori nazionali, per cui è stato vietato il passaggio alla televisione.
Ciononostante all’iniziativa si sono avute molte testimonianze di sostegno sui social.
Il brand Sas si è rafforzato su buona parte del pubblico nonostante la politica avversa.
Un’altra testimonianza ci viene fornita dalla Lifebuoy.
Questo non è un annuncio, ma un messaggio di servizio pubblico, una guida di precauzioni contro il Coronavirus.
Così il marchio indiano dei saponi Lifebuoy è sceso in campo lanciando una iniziativa senza precedenti: una campagna per la corretta prevenzione contro l’emergenza del Coronavirus dal lavaggio delle mani all’uso delle mascherine e persino pubblicizzando i nomi dei prodotti dei concorrenti.
Questa azienda ha abbattuto i propri confini del solo business per assumere un ruolo di responsabilità sociale, di vicinanza alla collettività, di pubblica utilità.
Il brand Italia ai tempi del Coronavirus
L’arrivo e la diffusione in Italia del Coronavirus Covid-19 non sempre ha fornito, da parte degli organi di informazione (media) e delle Istituzioni, una corretta e non ansiogena visione del fenomeno.
Parafrasando Orazio si può affermare:
In media stat virus
L’ammettere pubblicamente all’inizio che c’è stata una falla nel sistema sanitario, quando la macchina degli interventi è stata più che rigorosa, ha danneggiato il brand Italia.
Quali sono state le ripercussioni e le conseguenze negative che oltre al danno erariale ha provocato un danno reputazionale?
Le cancellazioni di fiere e missioni all’estero e dall’estero sono senz’altro un grave danno per il nostro settore, così come le difficoltà che riscontriamo nei contatti con clienti ed agenti intimoriti da possibili contagi.
Il 50% dell’export italiano proviene dalle fiere
Anche in altre nazioni si sono avute cancellazioni analoghe (salone dell’auto in Svizzera, del turismo in Germania).
Paure irrazionali rischiano di danneggiare gravemente il settore moda italiano che ha uno spiccato orientamento all’export ed è caratterizzato dalla stagionalità delle collezioni.
Il settore della moda rappresenta il 4% del PIL.
Il coronavirus ha messo a tappeto il turismo che è un settore fondamentale per l’economica del paese che rappresenta il 13% del PIL.
In meno di due settimane la situazione è precipitata.
Ma anche spostarsi all’estero non è più possibile, per via dei tanti respingimenti di cittadini italiani.
Inoltre, gli altri paesi stanno invitando i propri cittadini a non venire in Italia.
Si sono addirittura verificati episodi che le regioni del Sud non gradivano l’ingresso nei loro territori di cittadini del Nord.
Si sono poi verificate assurde disdette per forniture alimentari, spesso provocate da stampa estera come il disgustoso video francese andato in onda su Canal+ con l’intento di screditare, a proprio vantaggio, il made in Italy.
Si chiama #MangiaItaliano la campagna lanciata da Coldiretti per contrastare, grazie al tam-tam sui social, la disinformazione, gli attacchi strumentali e la concorrenza sleale di altri Paesi.
La campagna ha l’obiettivo di riaffermare il primato dell’enogastronomia tricolore.
L’Agroalimentare italiano contribuisce per il 12% alla formazione del PIL.
Se poi consideriamo l’intera filiera agroalimentare, dai campi agli scaffali fino alla ristorazione, si raggiunge il 25% del PIL.
Ci troviamo nelle situazioni simili a quelle che hanno spinto il Boccaccio a scrivere il Decamerone.
Gianfranco Franzosini - Broker