PUBBLICATA SENTENZA RIGETTO TAR LAZIO RICORSO S.N.A.
Numero Registro Sentenze 11704/2006 Registro Ricorsi REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima, composto dai signori: Pasquale de Lise Presidente Antonino Savo Amodio Consigliere Mario Alberto di Nezza Primo referendario rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 11704/2006 R.g. proposto da Sindacato nazionale agenti di assicurazione, in persona del presidente e legale rappresentante p.t. ... ..., il quale agisce anche in proprio, nella sua qualità di agente professionale iscritto all’Albo nazionale degli agenti di assicurazione, rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. Vittorio Angiolini, prof. Piergiovanni Alleva e Giovanni Simonetti, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Amos Androni in Roma, Via Bergamo n. 3 contro l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo – Isvap, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato per l’annullamento 2 del regolamento n. 5 del 16 ottobre 2006 concernente la disciplina dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa di cui al Titolo IX (intermediari di assicurazione e riassicurazione) e di cui all’art. 183 (regole di comportamento) del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - Codice delle Assicurazioni; nonché di ogni altro atto consequenziale o presupposto. Visto il ricorso con i relativi allegati; visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente; viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; visti gli atti tutti della causa; sentiti alla pubblica udienza del 21 marzo 2007, relatore il dott. Mario Alberto di Nezza, gli avv.ti Angiolini, Simonetti e l’avv. dello Stato E. Arena; ritenuto e considerato quanto segue in fatto e in diritto: FATTO Con ricorso ritualmente istaurato il Sindacato nazionale degli agenti di assicurazione e il suo presidente, ... ..., agente professionale iscritto nell’Albo nazionale degli agenti di assicurazione, hanno impugnato il regolamento n. 5 del 16 ottobre 2006 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 23 ottobre 2006), con cui l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (Isvap) ha delineato la “disciplina dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa di cui al titolo IX (intermediari di assicurazione e di riassicurazione) e di cui all’articolo 183 (regole di comportamento) del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - Codice delle assicurazioni private”. 3 A sostegno del gravame gli istanti hanno denunciato i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili. Costituitasi in resistenza l’amministrazione, alla suindicata udienza di discussione la causa è stata infine trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Il gravame ha ad oggetto il regolamento n. 5 del 2006 con cui l’Isvap ha dato attuazione al Titolo IX, “intermediari di assicurazione e riassicurazione”, e all’art. 183, “regole di comportamento”, del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, recante il “Codice delle assicurazioni private” (di seguito, Codice). Ai fini della migliore comprensione della controversia è opportuno illustrare sinteticamente la disciplina di rango primario, che, imperniata sulla individuazione delle funzioni di vigilanza dell’Autorità di settore, costituisce sviluppo dei principi dettati dalla direttiva 2002/92/CE sulla intermediazione assicurativa. Analogamente a quanto accade in altri ambiti della intermediazione finanziaria (cfr. Testo unico bancario e Testo unico della finanza), anche nel settore assicurativo le funzioni di vigilanza sono identificate in chiave finalistica (ciò che costituisce il portato delle concezioni prevalenti in materia di regulation): l’art. 3 del Codice stabilisce infatti che la vigilanza deve avere “per scopo la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e di riassicurazione e la trasparenza e la correttezza dei comportamenti delle imprese, degli intermediari e degli altri operatori del settore assicurativo, avendo riguardo alla stabilità, all’efficienza, alla competitività ed al buon funzionamento del sistema assicurativo, alla tutela 4 degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative, all’informazione ed alla protezione dei consumatori”. Questa disposizione, oltre a segnalare, attraverso il riferimento alla “sana e prudente gestione” delle imprese assicurative e riassicurative, la peculiarità delle relative attività imprenditoriali e la necessità che sia in primo luogo assicurata la “stabilità” di aziende, come quelle in parola, che raccolgono risparmio tra il pubblico (e più in generale operano nei mercati finanziari), delinea sinteticamente i criteri cui deve ispirarsi la vigilanza, evidenziando al contempo alcuni parametri tra l’altro idonei a orientare in ottica sistematica l’interpretazione della complessa disciplina di dettaglio. Così, con riferimento agli intermediari, essa impone in particolare il rispetto degli obblighi di “trasparenza” e di “correttezza dei comportamenti”, avuto riguardo “alla tutela degli assicurati” (e degli altri aventi diritto) e alla “informazione” e “protezione dei consumatori”. Il successivo art. 5, attribuite all’Isvap “le funzioni di vigilanza sul settore assicurativo mediante l’esercizio dei poteri di natura autorizzativa, prescrittiva, accertativa, cautelare e repressiva” previsti dalle disposizioni del Codice, demanda altresì a tale Autorità il potere di adottare “ogni regolamento necessario per la sana e prudente gestione delle imprese o per la trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei soggetti vigilati ed allo stesso fine rende nota ogni utile raccomandazione o interpretazione” (2°comma), stabilendo che il relativo procedimento sia rispettoso delle regole sancite dall’art. 191, 4° e 5° comma (art. 9, 2° comma; su tali regole, v. infra, punto 1.3). 1.1. Il Titolo IX del Codice è dedicato, appunto, agli “intermediari”. 5 Definita l’“intermediazione assicurativa e riassicurativa” come l’attività consistente “nel presentare o proporre prodotti assicurativi e riassicurativi o nel prestare assistenza e consulenza finalizzate a tale attività e, se previsto dall’incarico intermediativo, nella conclusione dei contratti ovvero nella collaborazione alla gestione o all’esecuzione, segnatamente in caso di sinistri, dei contratti stipulati” (art. 106), all’art. 109 il Codice provvede a istituire un “registro” (“degli intermediari assicurativi e riassicurativi”; in breve, Registro), articolato in distinte sezioni, l’iscrizione nel quale è condizione - necessaria, alla luce dell’espressa riserva stabilita dalla norma - per l’esercizio delle specifiche attività ivi previste (alla fonte regolamentare è demandata la disciplina delle modalità di “formazione” e di “aggiornamento”). Più in dettaglio, il Codice individua cinque categorie di soggetti (art. 109, 2° comma): a) gli agenti di assicurazione, ossia gli “intermediari che agiscono in nome o per conto di una o più imprese di assicurazione o di riassicurazione” (sez. A); b) i mediatori di assicurazione o di riassicurazione o broker, quali “intermediari che agiscono su incarico del cliente e senza poteri di rappresentanza di imprese di assicurazione o di riassicurazione” (sez. B); c) i produttori diretti, i quali, anche in via sussidiaria rispetto all’attività svolta a titolo principale, “esercitano l’intermediazione assicurativa nei rami vita e nei rami infortuni e malattia per conto e sotto la piena responsabilità di un’impresa di assicurazione e che operano senza obblighi di orario o di risultato esclusivamente per l’impresa medesima” (sez. C); d) le banche autorizzate, gli intermediari finanziari inseriti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del testo unico bancario, le società di intermediazione mobiliare autorizzate, la società Poste Italiane - Divisione servizi di bancoposta (sez. D); e) i soggetti addetti all’intermediazione, “quali i dipendenti, i collaboratori, i produttori e gli altri incaricati degli intermediari iscritti alle sezioni di cui alle lettere a), b) e d) per l’attività di intermediazione svolta al di fuori dei locali dove l’intermediario opera” (sez. E). L’articolo in esame, che consente altresì l’iscrizione di agenti e broker persone fisiche, “abilitati ma temporaneamente non operanti, per i quali l’adempimento dell’obbligo di copertura assicurativa […] è sospeso sino all’avvio dell’attività” (3° comma), sancisce inoltre un generale divieto di “contemporanea iscrizione” dello stesso soggetto in più sezioni (2° comma, cpv.). Gli artt. 110, 111 e 112 contemplano i requisiti per l’iscrizione rispettivamente delle persone fisiche, dei produttori diretti e delle società. 1.2. L’art. 183 del Codice, contenuto nel Titolo XIII (“trasparenza delle operazioni e protezione dell’assicurato”), dètta le “regole di comportamento” delle imprese e degli intermediari “nell’offerta e nell’esecuzione dei contratti”. Esso demanda all’Isvap l’adozione di disposizioni regolamentari “relative alla determinazione delle regole di comportamento da osservare nei rapporti con i contraenti, in modo che l’attività si svolga con correttezza e con adeguatezza rispetto alle specifiche esigenze dei singoli”, con le quali: i) si tenga conto “delle differenti esigenze di protezione dei contraenti e 7 degli assicurati, nonché della natura dei rischi e delle obbligazioni assunte dall’impresa”; ii) si individuino “le categorie di soggetti che non necessitano in tutto o in parte della protezione riservata alla clientela non qualificata”; iii) si determinino “modalità, limiti e condizioni di applicazione delle medesime disposizioni nell’offerta e nell’esecuzione dei contratti di assicurazione dei rami danni, tenendo in considerazione le particolari caratteristiche delle varie tipologie di rischio”. 1.3. Nell’ambito della disciplina delle “funzioni di vigilanza” dell’Autorità di settore (Tit. XIV), assume portata centrale l’art. 191, che per l’esercizio delle stesse richiede l’adozione da parte dell’Isvap di “norme regolamentari” concernenti un’ampia serie di materie (quali ad esempio la correttezza della pubblicità e le regole di presentazione e di comportamento delle imprese e degli intermediari nell’offerta di prodotti assicurativi, gli obblighi informativi prima della conclusione e durante l’esecuzione del contratto, la verifica dell’adeguatezza delle procedure di gestione del rischio, l’adeguatezza patrimoniale, ivi compresa la formazione delle riserve tecniche, la copertura e la valutazione delle attività, la composizione e il calcolo del margine di solvibilità delle imprese di assicurazione e di riassicurazione; gli schemi di bilancio, il piano dei conti, le forme e le modalità di raccordo fra il sistema contabile ed il piano dei conti; ecc.). Tali “norme”, contenute in atti che presentano significative somiglianze con le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia (non a caso il 6° comma dell’art. 191 precisa che “i regolamenti adottati dall’ISVAP sono fra loro coordinati e formano un’unica raccolta delle istruzioni di vigilanza”), ma anche con i regolamenti Consob, devono essere conformi “al principio di 8 proporzionalità per il raggiungimento del fine con il minor sacrificio per i soggetti destinatari”, “coerenti con le finalità della vigilanza […]” e ispirate al perseguimento “delle esigenze di competitività e di sviluppo dell’innovazione nello svolgimento delle attività dei soggetti vigilati” (3° comma). A ulteriore presidio di questi obiettivi la legge delinea un particolare iter di adozione delle “norme” in questione, prevedendo che l’Organo di vigilanza: a) dia corso a “procedure di consultazione aperte e trasparenti che consentano la conoscibilità della normativa in preparazione e dei commenti ricevuti anche mediante pubblicazione sul sito Internet dell’Istituto”; ciò appare garantito dalla prescrizione che “all’avvio della consultazione” l’Isvap rende noto “lo schema del provvedimento ed i risultati dell’analisi relativa all’impatto della regolamentazione, che effettua nel rispetto dei principi enunciati all’articolo 12 della legge 29 luglio 2003, n. 229” (art. 191, 4° comma); b) possa richiedere, in ogni fase del procedimento, “il parere del Consiglio di Stato”; c) si esprima “pubblicamente sulle osservazioni ricevute, a seguito della procedura di consultazione, e sul parere eventualmente richiesto al Consiglio di Stato” (5° comma). Valga infine ricordare che su questi profili è intervenuto di recente l’art. 23 l. 28 dicembre 2005, n. 262 (legge sul risparmio), relativo ai “procedimenti per l’adozione di atti regolamentari e generali” di Banca d’Italia, Consob, Isvap e Covip. Ai sensi di questa disposizione, i relativi provvedimenti “devono essere motivati con riferimento alle scelte di regolazione e di vigilanza del settore ovvero della materia su cui vertono” e “sono accompagnati da una relazione 9 che ne illustra le conseguenze sulla regolamentazione, sull’attività delle imprese e degli operatori e sugli interessi degli investitori e dei risparmiatori”. Anche nella definizione del contenuto, le Autorità di vigilanza sono tenute al rispetto del “principio di proporzionalità, inteso come criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari”; a tal scopo, esse “consultano gli organismi rappresentativi dei soggetti vigilati, dei prestatori di servizi finanziari e dei consumatori”. 2. Tanto premesso, il Collegio ritiene che il gravame – prospettante vizi che attengono sia al procedimento di formazione del Regolamento sia ad alcune disposizioni ivi contenute - sia infondato nel merito, ciò che permette di prescindere dall’apprezzamento delle eccezioni preliminari spiegate dalla difesa erariale (carenza di legittimazione attiva del Sindacato nazionale agenti, stante la sussistenza di posizioni differenziate degli associati, e omessa integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre categorie di operatori quali produttori diretti e intermediari iscritti nella sezione D del Registro). 2.1. Ragioni non solo logiche consigliano di cominciare l’esame del thema decidendum dai profili di doglianza il cui accoglimento è suscettibile di portare alla caducazione dell’intero Regolamento, ossia quelli concernenti il fondamento del potere normativo dell’Isvap nonché la sua corretta esplicazione dal punto di vista procedimentale (cfr. premesse in fatto e premesse del motivo sub A nonché motivo sub B ric.). Gli istanti deducono anzitutto che le norme primarie recanti intestazione 10 all’Isvap della potestà regolamentare in materia di intermediazione (quali gli artt. 191, 109, 110, 112, 116, 120, 183) riguarderebbero specifici oggetti e non già la complessiva disciplina del settore; donde l’illegittimità del Regolamento in quanto esteso a tutti gli ambiti dell’attività intermediativa. Più in dettaglio, l’art. 120 Cod., non indicando principi o criteri direttivi, conterrebbe una delega “in bianco”, atta a “svuotare” la funzione regolamentare della connotazione attuativa di norme sovraordinate fino a “conferirle un ruolo ‘libero’ e per ciò stesso illegittimo in materie coperte da riserva di legge quali l’iniziativa economica e l’ordinamento delle professioni” (artt. 41 e 33 Cost.). Essi lamentano poi la violazione dell’art. 23 l. n. 262 del 2005, non avendo l’amministrazione assolto all’obbligo motivazionale richiesto dalla norma, consistente nella enunciazione delle scelte di regolazione e di vigilanza del settore ovvero della materia su cui vertono e nella predisposizione di una relazione atta ad illustrare le conseguenze di dette scelte sulla regolamentazione, sull’attività delle imprese e degli operatori e sugli interessi degli investitori e risparmiatori; vizio aggravato dall’assenza dalle “consultazioni aperte e trasparenti” prescritte dall’art. 191, 4° comma, Cod. (i pareri dei vari interessati sarebbero stati infatti acquisiti in modo “riservato”, senza che gli uni potessero conoscere i commenti e le osservazioni degli altri). Le censure non meritano accoglimento. Osserva il Collegio che sul fondamento dei poteri normativi dell’Isvap si è autorevolmente affermato, all’esito di un’accurata ricostruzione del quadro giuridico condotta sul duplice versante della “copertura” costituzionale e comunitaria delle Autorità indipendenti e del sistema delle fonti (siccome venutosi nel tempo ad articolare per effetto degli interventi di “riassetto” indotti dalla più recente normativa primaria), che la loro base giustificativa vada in ultima analisi rinvenuta nel principio di legalità, ciò che permette di superare de plano i prospettati dubbi di incostituzionalità. È stata data in particolare soluzione positiva al quesito se dette Autorità possano adottare regolamenti “autonomi” (o indipendenti, secondo la tradizionale terminologia riferita alle attribuzioni regolamentari del Governo), in ragione della configurazione, in certi casi, di una maggiore discrezionalità di detti organismi anche nell’esercizio delle loro funzioni normative; soluzione di cui è stata attestata la coerenza col loro ruolo, che non è solo quello di eseguire e dare attuazione, ma regolare e quindi anche regolamentare, in conformità alle esigenze che di volta in volta si presentano nel settore di afferenza, anche e soprattutto sulla base del dato dell’esperienza e della prassi, l’azione di quanti vi operano. Si tratta dunque di regolamenti certamente configurabili, sempre che si accerti, caso per caso, la sussistenza della condizione che la materia regolata non sia sottoposta a riserva di legge e che nella stessa legge istitutiva dell’Autorità, o comunque in altra fonte primaria (anche di livello comunitario), siano rinvenibili i criteri di fondo per l’esercizio del potere normativo dell’autorità di regolazione. L’esame del provvedimento impugnato non fornisce al Collegio elementi per rilevare la fondatezza del vizio denunciato. Non solo il chiaro disposto dell’art. 5, 2° comma, Cod., a tenore del quale l’Isvap può adottare “ogni regolamento necessario [...] per la 12 trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei soggetti vigilati”, dimostra come anche per il settore della vigilanza assicurativa il legislatore abbia ritenuto di mutuare la tecnica della delegificazione adottata con successo nelle materie della vigilanza bancaria e dei mercati finanziari (mentre l’art. 191 Cod. definisce, come segnalato dalla difesa erariale, la cornice di legalità entro cui detto potere deve essere esercitato), ma le stesse esigenze di tutela degli assicurati, sottese alla direttiva 2002/92/CE e fatte proprie dal Codice, offrono la chiave di lettura della nuova normativa secondaria, permettendo di individuarne agevolmente le finalità e di fornire un quadro di riferimento idoneo a fugare i dubbi circa la stessa liceità dell’attività di produzione di norme secondarie; e tanto in modo del tutto indipendente dalla puntuale individuazione di una disposizione primaria di “delega”. Passando alla lamentata violazione dell’art. 23 l. risparmio, ritiene il Collegio che il Regolamento non esibisca i denunciati profili di illegittimità. La corposa attività di consultazione espletata, oltre ad aver permesso l’interlocuzione avuta di mira dalla norma primaria, ha invero consentito di dare adeguatamente conto delle ragioni poste a base delle scelte operate, dal momento che nelle risposte alle osservazioni pervenute l’Isvap ha proceduto al compiuto esame di una serie di rilevanti questioni e si è di volta in volta curato di esporre anche i principi di fondo del nuovo assetto. Si consideri infine che con l’introduzione, sempre ad opera dell’art. 23, dell’obbligo di revisione triennale della disciplina di vigilanza (3° comma: le Autorità di vigilanza “sottopongono a revisione periodica, almeno ogni tre anni, il contenuto degli atti di regolazione da esse adottati, per adeguarli 13 all’evoluzione delle condizioni del mercato e degli interessi degli investitori e dei risparmiatori”), il legislatore, ispirandosi al modello statunitense delle c.d. sunset laws, ha inteso garantire la continua aderenza dell’assetto regolatorio alle emergenze fattuali, il che vale ad attenuare definitivamente i rischi paventati dagli istanti circa la sostanziale adeguatezza (se non proprio correttezza) delle scelte assunte (le quali infatti, una volta saggiatane la tenuta nella prassi, potranno essere sottoposte alle più opportune rimeditazioni). Da quanto detto segue l’infondatezza delle censure. 2.2. La restante parte dell’impugnativa attiene a specifiche disposizioni regolamentari in materia di accesso all’attività, di esercizio della stessa e di infrazioni e sanzioni disciplinari (cfr. sub A, punti 1, 2 e 3 ric.). 2.2.1. Cominciando dall’accesso all’attività intermediativa (A.1 ric.), gli istanti lamentano anzitutto l’illegittimità degli artt. 9 e 10 Reg., nella parte in cui, nel determinare le modalità di svolgimento della prova valutativa prevista per l’iscrizione nella sezione A del Registro, richiedono ai candidati il possesso di un diploma di scuola media superiore. Si tratterebbe a loro dire di una previsione: a) priva di base giuridica di riferimento, alla luce del testo dell’art. 109 Cod. (che demanda all’Isvap unicamente l’individuazione delle modalità di svolgimento della prova, ma non l’introduzione di nuovi requisiti); b) in contrasto con l’art. 110 Cod. (che prevede l’esame di idoneità al fine di accertare la conoscenza di “materie tecniche, giuridiche ed economiche rilevanti nell’esercizio dell’attività”); c) comunque inidonea a salvaguardare le esperienze specifiche maturate da coloro che oggi operano nel settore delle assicurazioni (quali, ad esempio, i sub-agenti). La doglianza non merita condivisione. In disparte la circostanza, giustamente ricordata dall’amministrazione, che il requisito in contestazione è richiesto soltanto ai nuovi iscritti nel Registro, rimanendo salva la possibilità di iscrizione per i soggetti che sulla base della precedente normativa abbiano maturato il diritto a iscriversi entro il 31 dicembre 2006 (indipendentemente, dunque, dal titolo di studio posseduto), ritiene il Collegio che la censurata norma regolamentare (art. 9, 2° comma) costituisca corretta attuazione dell’esigenza, espressa dalla direttiva 2002/92/CE, che gli intermediari abbiano cognizioni adeguate rispetto all’attività da svolgere. Il particolare significato di questo principio nel nuovo assetto dell’intermediazione assicurativa è dimostrato dagli strumenti previsti per garantirne l’effettività, operanti non solo al momento dell’accesso al settore (occorrendo superare una prova di idoneità “consistente in un esame su materie tecniche, giuridiche ed economiche”; v. art. 110, 2° comma, Cod.), ma anche nel corso della vita professionale degli interessati (sui quali incombono puntuali obblighi di aggiornamento). Ne segue che la previsione in esame risponde all’esigenza che in questo importante ambito agiscano soggetti in possesso di un adeguato grado di scolarizzazione, maggiormente idonei, come tali, ad acquisire e gestire le complesse nozioni tecniche, giuridiche ed economiche che l’esercizio dell’intermediazione (come agente e come broker) richiede. Gli istanti si dolgono, ancora, della composizione della commissione esaminatrice stabilita dall’anzidetto art. 10 Reg. (essa è formata da quattro dipendenti, due dirigenti e due funzionari, dell’Isvap e da due docenti universitari), non essendo giustificata l’assenza di rappresentanti delle 15 categorie interessate in considerazione del fatto che per l’accesso a tutte le professioni “protette” sarebbe a loro dire sempre prevista una quota di commissari di estrazione professionale. Il motivo non può essere condiviso. Chiarito anzitutto che le inerenti disposizioni primarie non impongono la presenza nella commissione di esponenti degli intermediari assicurativi, è da dire che il parallelismo istituito con il regime dell’accesso alle professioni c.d. liberali non è conferente, alla luce di quanto giustamente rimarcato dalla resistente circa l’inesistenza di un “ordine professionale” degli agenti assicurativi e circa l’esclusione, al fine di evitare conflitti di interesse, dei rappresentanti di categoria negli organi preposti all’accertamento di idoneità per l’accesso ad attività assimilabili a quelle in esame (cfr. art. 11, comma 3°, l. n. 248 del 2006, sugli esami per l’iscrizione nel ruolo degli agenti di affari in mediazione). Altro profilo di censura attiene all’obbligo per agenti e brokers di dotarsi di copertura assicurativa per la responsabilità civile ai fini dell’iscrizione nel Registro: l’art. 11, 2° comma (lettere a e c), Reg. vieterebbe la possibilità di prevedere franchigie, stabilendo inoltre requisiti di copertura del rischio non perspicui. È sufficiente rilevare al riguardo come l’art. 11 si limiti a stabilire la mera inopponibilità, non già il divieto, di “franchigie o scoperti” nei confronti dei terzi danneggiati, i quali “devono ricevere, nel limite dei massimali garantiti, l’integrale ristoro del danno subito”. Ciò dimostra l’infondatezza in fatto della critica. Restano invece non percepibili i motivi della lamentata irragionevolezza dei requisiti stabiliti, appalesandosi la 16 censura per tale parte inammissibile. L’ultimo aspetto di doglianza concerne l’obbligo di impartire un’adeguata formazione professionale (concretante uno dei requisiti di iscrizione al Registro). Quanto agli intermediari della sezione C (produttori diretti), l’art. 111, 2° comma, Cod. stabilisce che “le imprese per conto delle quali agiscono i produttori diretti provvedono ad impartire una formazione adeguata in rapporto ai prodotti intermediati ed all’attività complessivamente svolta”; il successivo 4° comma si riferisce invece ai soggetti iscritti nella sezione E, i quali “devono possedere cognizioni e capacità professionali adeguate all’attività ed ai prodotti sui quali operano, accertate mediante attestato con esito positivo relativo alla frequenza a corsi di formazione professionale a cura delle imprese o dell’intermediario assicurativo”. A dire degli istanti, l’Isvap avrebbe, in difetto di attribuzione di potere regolamentare: a) previsto in dettaglio le modalità della formazione organizzata dai produttori diretti (art. 17 Reg., che prevede un corso teorico di 60 ore, tenuto da docenti specializzati, con test finale); b) irragionevolmente esteso ai soggetti della sezione E le stesse prescrizioni (art. 21 Reg., secondo cui questi ultimi devono “essere in possesso di cognizioni e capacità professionali adeguate all’attività svolta ed ai contratti intermediati, acquisite mediante la partecipazione a corsi di formazione conformi ai criteri previsti dall’art. 17, comma 2, tenuti od organizzati a cura degli intermediari per i quali operano o delle relative imprese preponenti”); c) delineato un sistema illogico, nel quale gli agenti sarebbero tenuti a impartire la formazione ai sub-agenti prima ancora della stipula del 17 contratto di sub-agenzia. La censura è infondata. Richiamate le superiori considerazioni sull’esercizio della potestà normativa secondaria, agevolmente riconducibile alla menzionata clausola generale dell’art. 5 Cod. e comunque, in questo caso, postulata dalla disposizione sovraordinata in ragione dell’assenza di specificazioni sulle concrete modalità di organizzazione dei corsi formativi (onde il Regolamento provvede a stabilire una base minima che possa far ragionevolmente ritenere raggiunto il risultato dell’adeguata preparazione degli aspiranti all’iscrizione), ritiene il Collegio di non ravvisare alcuna incongruenza nell’art. 21 Reg.: se, per un verso, la circostanza che i corsi non devono necessariamente esser “tenuti” (come per i produttori diretti), ma possono essere anche “organizzati a cura” degli intermediari per i quali gli addetti della sezione E operano, costituisce una ragionevole differenziazione commisurata alla tipologia degli interessati, va per altro verso rilevato che la norma non presenta la denunciata illogicità laddove presuppone che l’accesso al Registro non consegua immediatamente alla stipula del mandato sub-agenziale, essendo senz’altro possibile che i preponenti curino prioritariamente la formazione dei loro collaboratori. Ciò è del resto chiarito negli “Esiti della pubblica consultazione” (pag. 33), in cui, respinta la proposta avanzata da alcuni interessati di differenziare gli obblighi in esame sul rilievo che i requisiti formativi previsti dall’articolo 17 Reg. costituiscono “un livello minimo necessario a garantire una qualificazione professionale per tutti coloro che, non sostenendo una prova d’idoneità, intendano svolgere attività di 18 intermediazione assicurativa o riassicurativa”, si ricorda che il requisito di professionalità in argomento è elevato dalla direttiva 2002/92/CE alla stregua di “condizione necessaria per il perfezionamento dell’iscrizione” (cfr. art. 4, par. 6). 2.2.2. Passando alle doglianze attinenti all’esercizio dell’attività di intermediazione (v. punto A.2 ric.), gli istanti contestano anzitutto le norme sugli “obblighi di comunicazione e di aggiornamento professionale”. Essi lamentano in particolare l’illegittimità: - dell’art. 36, che impone agli agenti e ai brokers di comunicare la perdita di taluno dei requisiti per l’iscrizione al Registro “entro cinque giorni dal verificarsi dell’evento”, termine il cui rispetto pone seri problemi soprattutto nel caso in cui l’“evento” colpisca uno dei collaboratori o subagenti dell’intermediario (1° comma, ult. cpv.); a carico degli agenti sarebbero cioè imposti compiti di vigilanza tipici dell’ente pubblico, peraltro impossibili di assolvere nelle ipotesi in cui l’intermediario non sia in grado di venire a conoscenza dell’evento riguardante il collaboratore (come ad esempio avviene per le sentenze di patteggiamento, non iscritte nel certificato penale ottenibile dai privati); - dell’art. 38, relativo ai corsi di aggiornamento professionale (della durata di 30 ore e con un test finale) per gli iscritti nella sezione E, corsi che devono essere “tenuti od organizzati a cura dell’intermediario che se ne avvale o delle relative imprese preponenti” nei confronti di tutti i collaboratori dell’intermediario, anche se operanti esclusivamente all’interno dei suoi locali; quest’obbligo avrebbe un’ampiezza irragionevole (essendo equivalente a un corso universitario di cinque crediti), non sarebbe 19 commisurato alla tipologia di preponente (essendo incongruo trattare allo stesso modo compagnie assicurative e agenti) e prescinderebbe dalle pregresse esperienze lavorative degli addetti, sicuramente valutabili in termini di conseguita preparazione professionale. Entrambi questi articoli sarebbero stati poi adottati in totale carenza di potere. Le doglianze sono infondate. Quanto al primo punto, è evidente che l’obbligo di comunicazione previsto dalla norma, strumentale all’“aggiornamento” del Registro (le cui modalità sono demandate alla fonte regolamentare dall’art. 109, 1° comma, Cod., norma nella quale può essere rinvenuto, in aggiunta agli altri parametri più volte citati, il fondamento del potere esercitato dall’Isvap), non può certo intendersi in senso così ampio da prefigurare la creazione di una anomala figura di incaricato di pubblico servizio (quale sarebbe, nella lettura dei ricorrenti, l’agente tenuto a comunicare la perdita dei requisiti del proprio collaboratore), dovendosi in proposito condividere le deduzioni della difesa erariale sul fatto che la norma è in realtà preordinata a sanzionare la negligenza nell’effettuazione delle formalità comunicative, nel senso cioè che l’interessato non può rimanere inerte qualora abbia avuto contezza dell’avvenuta perdita dei requisiti dell’addetto. Anche la critica riguardante gli obblighi di impartire corsi di formazione non coglie nel segno, alla luce delle ridette prescrizioni comunitarie sulla esigenza di assicurare la costante professionalità degli operatori (artt. 3, par. 3, e 4, par. 5, dir. 2002/92/CE), la cui enunciazione in forma generica postula un’adeguata (e necessaria) opera di specificazione. Le disposizioni regolamentari provvedono poi a differenziare le modalità di svolgimento dei corsi in relazione alla tipologia di intermediario interessato (l’art. 38, 3° comma, stabilisce che per gli iscritti nella sezione E e per gli addetti operanti “all’interno” dei locali dell’intermediario i corsi “sono tenuti od organizzati a cura dell’intermediario che se ne avvale o delle relative imprese preponenti”, mentre per i produttori diretti “i corsi sono tenuti od organizzati a cura delle imprese per le quali tali soggetti operano”), donde l’infondatezza della doglianza di irragionevolezza della disciplina. Vanno parimenti respinte le censure relative alle “regole di comportamento” nei confronti della clientela e dei relativi obblighi di informazione, siccome sancite: - dall’art. 47, 1° comma, lett. b, nella parte in cui impone l’osservanza (oltre che delle norme di legge e di regolamento, anche) delle “procedure e istruzioni dell’impresa”, disposizione a dire degli istanti suscettibile di interpretazioni tese a ridurre l’autonomia professionale dell’agente per effetto dei potenziali conflitti tra prescrizioni di matrice pubblicistica e istruzioni impartite dall’imprenditore. È infatti condivisibile il rilievo dell’amministrazione circa la non attualità del testo della disposizione contestata, sostituita nella stesura finale del Regolamento da altra versione chiaramente evidenziante il reale significato della norma (precisandosi che gli intermediari devono “osservare le disposizioni legislative e regolamentari, anche rispettando le procedure e le istruzioni a tal fine impartite dalle imprese per le quali operano”); - dall’art. 47, 3° comma, sulle modalità di pagamento dei premi (che ai sensi di detta disposizione può avvenire soltanto a mezzo di “assegni 21 bancari, postali o circolari, muniti della clausola di non trasferibilità, intestati o girati all’impresa per conto della quale operano o a quella di cui sono distribuiti i contratti, oppure all’intermediario, espressamente in tale qualità” o di “ordini di bonifico, altri mezzi di pagamento bancario o postale, sistemi di pagamento elettronico”) e sul contestuale divieto per gli intermediari di “ricevere denaro contante a titolo di pagamento di premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita […]”, con l’eccezione dei contratti di assicurazione contro i danni per i premi di importo superiore a cinquecento euro annui per ciascun contratto”, a dire dei ricorrenti contrastante con l’art. 1277 cod. civ.. Ed invero la norma, oltre a non apparire irragionevole alla luce sia dell’espressa esclusione di questo divieto per le polizze obbligatorie (ossia quelle “per le coperture del ramo responsabilità civile auto e per le relative garanzie accessorie, se ed in quanto riferite allo stesso veicolo assicurato per la responsabilità civile auto”) sia della possibilità di estinguere l’obbligazione con strumenti di ampia diffusione (quali ad esempio i bollettini di conto corrente postale), trova il suo fondamento primario nelle esigenze di maggior tutela del consumatore, le quali, come si è detto, ispirano l’intera disciplina dell’intermediazione assicurativa (ciò è agevolmente desumibile dalle disposizioni degli artt. 117 e 118 del Codice sulla separazione patrimoniale e sull’adempimento delle obbligazioni pecuniarie) e in quelle della tracciabilità dei flussi monetari per diverse finalità (antiriciclaggio, repressione delle truffe o dell’evasione fiscale, ecc.); esigenze che in analogo ambito hanno portato la Consob a prevedere limitazioni all’uso del contante per i versamenti effettuati ai promotori 22 finanziari (cfr. art. 96, 6° comma, del regolamento Consob del 1° luglio 1998, recante attuazione del d.lgs. n. 58 del 1998, c.d. Testo unico della finanza); - dall’art. 49, sulle informative da rendere in sede di negoziazione contrattuale e sulla documentazione dell’attività svolta, reputate dagli istanti – che si dolgono della pletora di adempimenti richiesti – assolutamente non necessarie ai fini di una corretta informazione agli assicurati (tali obblighi non sarebbero inoltre attenuati nei casi di contratti in forma collettiva; art. 56 Reg.). Al riguardo è sufficiente osservare che l’art. 120, 4° comma, lett. b, Cod. espressamente demanda alla fonte regolamentare la determinazione, tenendo conto delle esigenze di protezione dei consumatori, delle “modalità con le quali è fornita l’informazione al contraente”. In attuazione della norma primaria l’Isvap ha proceduto alla individuazione di una nutrita serie di adempimenti, i quali, pur potendo in effetti presentare aspetti di onerosità, appaiono tuttavia necessari per rendere all’assicurato ogni notizia utile alla formazione di un serio convincimento in ordine all’esercizio delle scelte di investimento. Né l’art. 120 Cod. contrasta con principi sovraordinati, intendendo effettuare un bilanciamento strumentale (quantomeno) all’attenuazione dei rischi derivanti dalle rilevanti asimmetrie informative che notoriamente caratterizzano anche il settore in considerazione; - dall’art. 54, in materia di obblighi di separazione patrimoniale, nella parte in cui l’Isvap, in difetto di attribuzione di potere regolamentare, ha fissato un termine massimo di cinque giorni per il trasferimento dei premi pagati dall’agente all’impresa preponente (2° comma), intromettendosi in un 23 rapporto contrattuale il cui contenuto andrebbe lasciato alla libera determinazione delle parti (nella prassi commerciale il termine sarebbe di dieci giorni); la regola non potrebbe inoltre far leva su inesistenti esigenze di protezione dei consumatori, alla luce della regola secondo cui il pagamento effettuato tramite l’intermediario (o i suoi collaboratori) si considera direttamente effettuato all’impresa di assicurazioni. Su questo punto possono essere peraltro richiamate le precisazioni contenute negli “Esiti” cit. (pp. 81 ss.), in cui si chiarisce come la norma non si riferisca alla rimessa periodica dei premi dall’intermediario alle imprese (che è e resta regolata nell’ambito dei rapporti contrattuali intercorrenti tra tali soggetti), ma al “precedente momento del versamento, nel conto corrente separato, dei premi pagati dal contraente nelle mani dell’intermediario”; si tratta dunque di un versamento che, a tutela dei consumatori, deve avvenire entro un termine massimo (sia pure molto breve), in ossequio alla regola della separatezza patrimoniale. 2.2.3. L’ultima serie di censure attiene all’impianto sanzionatorio delineato dall’atto impugnato (sub A.3 ric.) L’art. 120, 4° comma, lett. d, Cod. (l’Isvap disciplina con regolamento: “[…] le violazioni alle quali si applicano le sanzioni disciplinari previste dall’articolo 329”) sarebbe a dire degli istanti generico, demandando all’autorità amministrativa il compito (proprio del legislatore) di determinare le condotte illecite. Mancherebbe inoltre la necessaria proporzionalità tra illecito e sanzione: se l’art. 329, 2° comma, Cod. collega la radiazione a “fatti di eccezionale gravità” e la censura a “fatti di particolare gravità”, il Regolamento avrebbe stabilito di sanzionare con la 24 censura irregolarità “semplici” (quali, tra l’altro, l’accettazione di mezzi di pagamento diversi da quelli prescritti dall’art. 47, la violazione di regole di comportamento o degli obblighi di formazione dei dipendenti, o della tenuta di uno qualsiasi dei documenti correlati all’obbligo di informazione), conferendo altresì il potere di irrogare la radiazione nel caso di recidiva. In questa ottica, la disciplina dell’art. 62 Reg. (“violazioni alle quali si applicano le sanzioni disciplinari”) sarebbe il frutto di scelte dell’Isvap talmente discrezionali da rasentare l’arbitrio. Ulteriore illegittimità risiederebbe della intestazione della potestà punitiva a un organo nel quale sono assenti esponenti delle categorie interessate. Le censure sono infondate. In relazione alla pretesa indeterminatezza delle fattispecie sanzionatorie, ricorda il Collegio che la giurisprudenza si è pronunciata su un tema analogo. Esaminando l’art. 144 d.lgs. n. 385 del 1993 (c.d. Testo unico bancario), del quale era messa in dubbio la conformità agli artt. 23 e 97 Cost. sotto il profilo del mancato rispetto dell’obbligo di tipicità e determinatezza delle fattispecie assoggettate a sanzione amministrativa pecuniaria, il giudice ordinario ha anzitutto precisato che l’art. 1 l. n. 689 del 1981 non contiene, a differenza di quanto avviene per gli illeciti penali (per i quali opera il principio di stretta legalità previsto dall’art. 25, 2° comma, Cost.) una riserva di legge tale da escludere la possibilità di integrare il precetto sanzionatorio - avente base nella legge - mediante norme regolamentari delegate, confacenti al particolare ambito tecnico specialistico cui si riferiscono: muovendo da tale premessa, essa ha escluso che l’art. 144 25 potesse esser qualificato alla stregua di una norma punitiva “in bianco”, in quanto i poteri della Banca d’Italia di emanare istruzioni e disposizioni in tema di vigilanza informativa (art. 51) e di vigilanza regolamentare (art. 53), lungi dall’essere lasciati al mero arbitrio di detta Autorità, sono esercitati in conformità a ben individuati principi e direttive (anche di livello europeo), a strumenti normativi primari e secondari e ad altri criteri oggettivi, dettagliati e rigorosi, al fine di integrare, data la particolare tecnicità e la continua evoluzione della materia, le norme di base (cfr. Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2004, n. 5743; v. anche Cass. civ., sez. I, 20 novembre 2003, n. 17602, sulle sanzioni in materia di intermediazione finanziaria). Analogo ragionamento può svolgersi in relazione agli artt. 120 e 329 Cod., i quali, pur provvedendo a costruire un regime di responsabilità degli intermediari “in chiave tutta disciplinare” (come è stato autorevolmente detto) parallelo a quello tradizionalmente incentrato sulla irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, tipicamente afflittive, sono integrati dall’art. 62 attraverso una casistica pienamente rispettosa dei principi appena ricordati (parimenti applicabili alla specie). Né appare irragionevole l’apprezzamento di gravità delle condotte illecite, posto che la qualificazione in termini di gravità “semplice” (art. 329, 2° comma) delle violazioni per le quali l’art. 62 prevede la censura è il frutto di una opinione dei ricorrenti non supportata da alcun elemento di convincimento, mentre l’aggravamento previsto per il caso di recidiva risulta senz’altro coerente con le esigenze di garantire l’effettività ed efficacia del sistema repressivo. La mancata partecipazione di esponenti delle categorie interessate al 26 Collegio di garanzia istituito dall’art. 331 Cod. non appare, infine, né irragionevole né in contrasto con principi e norme di rango sovraordinato, posto che la composizione di quest’organo (formato da “un magistrato con qualifica non inferiore a consigliere della corte di cassazione o equiparato, anche a riposo, con funzioni di presidente ovvero da un docente universitario di ruolo, e da due componenti esperti in materia assicurativa, questi ultimi designati sentite le associazioni maggiormente rappresentative”) ne attesta le caratteristiche di indipendenza e neutralità; d’altronde, le esigenze dei destinatari della vigilanza restano preservate dal parere (obbligatorio) che essi sono chiamati a rendere sulla designazione degli esperti. In ragione di quanto osservato, il ricorso è infondato e va pertanto respinto. La peculiarità e complessità delle questioni affrontate consentono di ravvisare giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate. La presente sentenza sarà eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 marzo 2007. Il Presidente L’estensore