di Vittoria Puledda – Repubblica Affari & Finanza

Banche e compagnie spingono la raccolta sui prodotti che investono su uno o più fondi. Ma le autorità di vigilanza temono che i risparmiatori non siano informati che non esiste garanzia nè di rendimento minimo nè di restituzione del capitale.

Da un paio di anni le unit linked stanno vivendo un successo travolgente, spinte dai bassi tassi di interesse (che hanno falcidiato i rendimenti delle gestioni classiche) e dalle nuove regole di Solvency II, sul patrimonio di vigilanza delle assicurazioni (che ha reso le unit linked molto più convenienti per le compagnie, in termini di minore assorbimento di capitale). Ma sono anche sicure per chi le sottoscrive? A fine anno era stato l’EIOPA – l’organismo europeo che raccoglie tutte le autorità di vigilanza nazionali sulle assicurazioni – a lanciare l’allarme, riferendosi in generale all’universo delie polizze.

«A causa del contesto di bassi tassi di interesse, i rischi finanziari sono sempre più a carico dei consumatori, ma i consumatori spesso non sono sostenuti in misura sufficiente ad assumerli», scrive l’Ivass europea nel suo Rapporto di fine anno. E ancora, a proposito delle unit linked: «I consumatori spesso hanno difficoltà a capire i rischi, i livelli delle garanzie, i costi/carichi e le altre caratteristiche di questi prodotti».

Qualche mese prima, nella relazione annuale Ivass di luglio 2015, era stato il numero uno dell’istituto, Salvatore Rossi, a sollevare il problema. Sempre partendo dai tassi bassi. Rossi aveva spiegato che le assicurazioni «si spostano dalle polizze vita tradizionali, con garanzia di rendimento minimo, verso prodotti privi di quella garanzia, che non appesantiscono il conto economico e inoltre assorbono meno capitale». Praticamente il ritratto delle unit linked. Che non solo non hanno il rendimento garantito, ma nemmeno la garanzia della restituzione del capitale investito. Una polizza “unit” infatti investe in uno o più fondi, quindi è un prodotto finanziario a tutti gli effetti. Può bilanciare il rischio, proponendo varie linee di investimento al sottoscrittore, può prevedere passaggi da un profilo ad un altro e, nei casi più sofisticati, ha meccanismi di “protezione finanziaria” del capitale. Ma non ha una garanzia assicurativa di restituzione di quanto investito: se i mercati vanno male (come in questo inizio d’anno) si può anche perdere una parte del capitale. In teoria si possono vendere unit abbinate ad una contro-assicurazione accessoria, di fatto ora non c’è praticamente mai (mentre è più diffusa la pratica del “multiramo” o prodotto ibrido, che attutisce il rischio, come vedremo, o della copertura “caso morte”). Un concetto dì rischio finanziario chiaro e persino scontato nel mondo del risparmio gestito, meno ovvio (quasi contro-intuitivo) se si parla di una polizza.

Finora i numeri del successo sono importanti: la raccolta premi delle unit linked è più che raddoppiata (+121% in 24 mesi). I premi complessivamente raccolti con le polizze unit linked nel 2013 erano pari a 12,6 miliardi, nel 2015 sono saliti a 28 miliardi (e manca ancora dicembre dai conti). Solo nell’ultimo anno sono cresciute del 52,5% e ormai rappresentano un terzo (appena meno, il 31,2%) della nuova produzione assicurativa nel ramo vita. Non solo: le polizze unit linked sono – sempre a livello di sistema – le uniche ad avere il segno più davanti alla raccolta dell’anno (insieme ai fondi pensione). E paradossalmente, proprio la crisi dei quattro istituti bancari andati in “risoluzione” per alcuni versi potrebbe far vivere una nuova stagione di successi a queste polizze: le reti bancarie – è il ragionamento che sotto sotto fanno alcuni assicuratori – qualcosa dovranno pur vendere alla clientela e le polizze vita unit linked, spessissimo collocate attraverso il canale della bancassurance, possono essere un’ottima alternativa.

Non c’è dubbio che per le compagnie assicurative le polizze di ramo III (le unit, appunto) siano un serbatoio importante di raccolta. Ad esempio per il gruppo Intesa Sanpaolo il 60% della raccolta lorda vita è fatta con prodotti del ramo III. «Sono formule finanziarie ma con il cappello assicurativo – conferma Nicola Fioravanti, responsabile della divisione “insurance” del gruppo Intesa Sanpaolo – quindi mantengono i benefici delle polizze, ad esempio in termini successori o di non pignorabilità, ma senza dubbio c’è un processo di avvicinamento con il mondo del risparmio gestito». A questo punto diventa fondamentale “come” si vende il prodotto (Intesa ad esempio ha formule di “protezione finanziaria” attivabili sulle unit, così come non tutte le unit sono vendute da sole: su 20 miliardi di raccolta vita, 7 sono di prodotti “ibridi”, con una parte di garanzia). Il prospetto, in genere una cinquantina di pagine, dice tutto ma come al solito rischia dì essere poco letto (e meno capito) dal risparmiatore. Poi c’è il presidio Mifid, sulla profilatura del cliente e dunque sulla verifica dell’adeguatezza del prodotto al cliente; la vigilanza sulla vendita è affidata alla Consob (non all’Ivass). L’esperienza dei bond subordinati ha insegnato che questi presidi non sempre bastano.

«E’ rischiosa un’offerta che sistematicamente non combini il contenuto finanziario con garanzie e/o valenze assicurative – conferma Andrea Battista, amministratore delegato di Eurovita – e per questo credo che una compagnia vita non debba limitarsi ai soli prodotti unit, è opportuno un equilibrio nell’asset allocation complessiva delle soluzioni assicurative proposte e collocate». Nell’ultimo anno una delle tendenze più diffuse per ridurre il livello di rischio è quello di proporre le cosiddette “polizze multiramo”, prodotti “ibridi” che contengono una parte di polizza tradizionale (ramo primo) su cui c’è la garanzia di restituzione del capitale, e una parte di unit linked, che dovrebbero dare l’extra-rendimento. Su questi prodotti la vigilanza è affidata all’Ivass (con un’attenzione rafforzata al coordinamento con Consob). A fine 2014, ultimi dati disponibili, le polizze multiramo erano pari a 12 miliardi (il 13% della nuova produzione vita).

Ad esempio il gruppo Unipol ha lanciato nell’ottobre scorso il primo prodotto multiramo e nei primi quattro mesi del 2016 invece entrerà direttamente nel settore delle unit linked, finora affidate quasi esclusivamente alla raccolta attraverso il canale della bancassurance (1,3 miliardi a fine settembre, rispetto ad una raccolta complessiva di 5 miliardi nel ramo vita).

Per Generali in Italia, invece, nei primi 9 mesi del 2015 la nuova produzione vita è stata pari a 9,7 miliardi di cui oltre il 50% è in prodotti ibridi. Più “aggressivi” sul settore unit linked i dati di Allianz Italia, che al 30 settembre aveva una raccolta vita pari a 9,36 miliardi (+13,7% rispetto all’anno prima) trainata dalle unit-linked (+37,9%), che rappresentano il 75% della raccolta.

Fonte: Intermedia Channel_Il Quotidiano Assicurativo On Line_Today News_11.01.2016