PER IL DOPO VOLUNTARY DISCLOSURE LA CHANCE (FISCALE) DELLA POLIZZA
di Antonio Longo e Antonio Tomassini – Quotidiano del Fisco)
Dopo la chiusura della finestra di accesso alla procedura di voluntary disclosure va attentamente valutata la disciplina fiscale delle polizze assicurative. La circolare 8/E/2016 (dell’Agenzia delle Entrate, ndIMC) interviene su quelle vita, ivi incluse quelle a vocazione maggiormente finanziaria.
A tal proposito la legge di Stabilità per il 2015 (articolo 1, commi 658 e 659, della legge 190/2014), modificando l’articolo 34, ultimo comma, del Dpr 601/1973 ha limitato l’esenzione dall’imposizione reddituale ai soli capitali a copertura del rischio demografico percepiti dai beneficiari a decorrere dal 1° gennaio 2015 di contratti di assicurazione sulla vita in caso di morte dell’assicurato. Antecedentemente alla modifica legislativa l’esenzione era totale, essendo infatti escluso da tassazione l’intero ammontare delle somme corrisposte, comprensivo anche degli eventuali rendimenti di natura finanziaria (circolare 29/E/2001).
Nel sistema attuale occorre pertanto distinguere tra le polizze di “puro” rischio, come la cosiddetta «temporanea caso morte», e le polizze di tipo “misto”, caratterizzate anche da una componente finanziaria. I proventi appartenenti a quest’ultima tipologia rientrano nella categoria dei redditi di capitale di cui alla lettera g-quater) dell’articolo 44, comma 1, del Tuir, determinati ai sensi del successivo articolo 45, comma 4; in linea di principio, l’imponibile corrisponde alla differenza fra il valore di riscatto che sarebbe stato riconosciuto all’assicurato, determinato al momento individuato in base alle relative condizioni contrattuali, e l’ammontare dei premi pagati al netto di quelli corrisposti per la copertura del rischio morte. Il reddito di natura finanziaria (ridotto della quota riferibile ad eventuali obbligazioni e altri titoli ex articolo 31 del Dpr 601/1973 ed equiparati e alle obbligazioni emesse da Stati esteri white listed il cui investimento diretto sconta l’aliquota del 12,50%) è assoggettato all’imposta sostitutiva ai sensi dell’articolo 26-ter del Dpr 600/1973 nella misura vigente ratione temporis (26% per i rendimenti maturati dal 1° luglio 2014).
I chiarimenti di maggiore rilevanza contenuti nella circolare 8/E/2016 sono quelli che riguardano le polizze assicurative sulla vita a matrice più spiccatamente finanziaria che prevedono l’erogazione di prestazioni ricorrenti (tra cui quelle collegate a titoli strutturati costituiti, ad esempio, da una componente obbligazionaria e da una componente derivata, ovvero collegate a quote di un fondo interno detenuto dall’impresa di assicurazione o da un Oicr).
L’Agenzia a questo riguardo enuncia il principio secondo cui le prestazioni ricorrenti di una polizza sono soggette a tassazione soltanto:
se, alle scadenze stabilite, sia determinabile con certezza la sussistenza di un vero e proprio rendimento finanziario della polizza stessa;
e sempre che, alla scadenza contrattuale, o in occasione dell’eventuale riscatto anticipato, il loro importo, aumentato dell’eventuale capitale minimo garantito, sia superiore ai premi versati.
Al contrario, è corretto escludere l’imponibilità delle prestazioni ricorrenti nel corso della durata contrattuale che non presentino elementi di certezza tali da determinare l’esistenza delle condizioni per l’applicazione dell’imposta sostitutiva di cui all’articolo 26-ter del Dpr 600/1973, come nel caso in cui la polizza non offra alcuna garanzia di restituzione del capitale investito. In questi casi la tassazione delle prestazioni ricorrenti sarà di fatto sospesa fino al momento dell’erogazione del capitale assicurato a seguito di riscatto o a scadenza del contratto o per effetto del decesso dell’assicurato. Restando ferma, anche in questo caso, l’esenzione del reddito percepito limitatamente alla sola componente di rischio demografico.
La posizione interpretativa dell’agenzia delle Entrate suscita più di una riflessione.
Anzitutto, sembra individuare un criterio di “certezza” del reddito – che richiama il principio di competenza previsto in materia di reddito di impresa (articolo 109 del Dpr 917/1986) – in un mondo, quello dei redditi di capitale, tipicamente contraddistinto dal principio di imputazione a periodo dei redditi “per cassa”. Si tratta di una presa di posizione piuttosto innovativa che tuttavia può essere considerata coerente rispetto alla specifica fattispecie reddituale analizzata.
Peraltro, l’Agenzia, argomentando sulle polizze assicurative a contenuto finanziario che non offrono alcuna garanzia di restituzione del capitale investito sembra implicitamente riconoscere una più ampia ed opportuna dignità giuridica e tributaria proprio alla categoria di polizze che in diverse occasioni sono state messe in discussione da alcuni uffici periferici, sia nelle ordinarie attività di accertamento sia nella attuale esperienza della disclosure.
Spesso, infatti, anche in ragione di interpretazioni diverse tra Ufficio e Ufficio, alcune polizze assicurative – in particolare di tipo unit ed index linked, cioè, facendo riferimento alla distinzione per rami prevista dall’articolo 2 del Dlgs 209/2005 (Codice delle assicurazioni private), le polizze ramo III le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di Oicr o di fondi interni ovvero a indici o ad altri valori di riferimento – sono state riqualificate (ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta di successione) in rapporti di gestione o di amministrazione di patrimoni mobiliari di natura finanziaria.
E ciò sulla base di motivazioni “eterogenee” tra cui l’assenza di un capitale minimo e la mancata garanzia di restituzione del capitale investito o la previsione di un contenuto assicurativo con rischio demografico irrisorio (concetto con riferimento al quale sarebbe necessaria l’individuazione di parametri sia qualitativi che quantitativi certi) tipico della polizze ad alto contenuto finanziario (invero, in molti casi contestati, vi era anche la stipula di polizze con gestori ubicati in Paesi black listed, il conferimento in polizza di asset non finanziari quali ad esempio immobili, marchi, ecc., la stipula di polizze in favore di un soggetto assicurato diverso dal contraente e particolarmente anziano e/o malato, la commistione nella gestione della polizza tra gestore e policyholder, il pagamento del premio assicurativo all’inizio in un’unica soluzione, la previsione di garanzie sui beni in favore del policyholder eccetera).
Le polizze di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione con società assicuratrici non residenti sono state in alcuni casi considerate alla stregua di una struttura interposta attraverso cui occultare un mandato alla gestione che consentisse di evitare l’applicazione delle imposte dovute in Italia sui relativi redditi di capitale e diversi di natura finanziaria ed eventualmente l’applicazione dell’euroritenuta sugli interessi derivanti da capitali depositati, ad esempio, in Svizzera.
Ebbene, con la circolare in commento l’Agenzia sembra aprire all’interpretazione secondo cui non tutte le polizze a contenuto finanziario, contraddistinte da un non elevato rischio demografico e magari senza garanzie di restituzione del capitale, devono, di per se, essere riconvertite in strumenti di gestione patrimoniale. Così che, oltre ai citati effetti sospensivi ai fini della imposizione reddituale e ai riflessi in merito all’imposta di successione, anche queste polizze potranno, ad esempio, in caso di disclosure, essere regolarizzate mediante rimpatrio giuridico, facendo assumere alla fiduciaria il ruolo di contraente/sottoscrittore della polizza, con l’emissione di una nuova polizza o di un’appendice integrativa di una già esistente.
Da ciò discende inoltre che le polizze (sulle quali, negli ultimi periodi, si era anche comprensibilmente creata una certa diffidenza da parte degli investitori privati) possono ancora e a ragion veduta essere utilizzate come valido strumento di protezione patrimoniale e pianificazione del passaggio generazionale. E ciò sia ai fini tributari, grazie al differimento delle imposte sui redditi e dell’imposta di bollo dello 0,2% annuo al momento del riscatto o della successione generazionale, all’esenzione da Iva e l’esclusione dall’asse ereditario ai fini dell’imposta sulle successioni, ma anche per le note ragioni extra-tributarie quali il regime di impignorabilità ed insequestrabilità della polizza da parte di terzi creditori, la riservatezza con riferimento agli attivi sottostanti, e la possibilità di detenere attivi finanziari legittimamente anche presso istituti di credito esteri, per il tramite ad esempio di fiduciarie residenti in Italia, con ciò evitando anche l’onere degli obblighi di monitoraggio fiscale.
In conclusione, le indicazioni fornite dalla circolare 8/E/2016 paiono senz’altro utili e auspichiamo che siano un primo passo un inquadramento sistematico di queste fattispecie, cruciale anche nel contesto del nuovo ufficio Grandi patrimoni persone fisiche creato all’interno dell’Agenzia. È sempre più importante, come già evidenziato su queste colonne, dotare questo Ufficio di un ruolo concreto ed anzi magari pensare ad una normativa ad hoc sulla compliance dei cosidetti High net worth individuals, ipotizzando, ad esempio, la possibilità per tali soggetti di interpellare l’Amministrazione finanziaria al fine di “qualificare” ed “interpretare” gli strumenti di investimento e di protezione del patrimonio che decidono di utilizzare.
Fonte_IntermediaChannel_Il Quotidiano_Assicurativo_OnLine_TodayNews_21.04.2016