LLOYD'S PRONTA A LASCIARE LA CITY: COLPA DELLA BREXIT
di Enrico Franceschini
L'uscita del Regno Unito dalla Ue inizia a produrre i primi dolori tra le aziende inglesi. La compagnia assicurativa ha fatto sapere di aver iniziato la valutazione se trasferire o meno la sede in una città diversa da Londra.
LONDRA – Il nome completo e ufficiale è “Lloyd’s of London”. Ma a causa di Brexit, la più grande compagnia di assicurazioni al mondo potrebbe lasciare Londra, la città in cui è nata, inizialmente dentro un coffee shop, 328 anni or sono. “Il nostro punto di vista è che mantenere accesso all’Unione Europea sia fondamentale”, ha affermato ieri sera John Nelson, presidente della Lloyd’s, alla cena annuale della società. “Se non siamo in grado di accedere al singolo mercato europeo, la conseguenza inevitabile per la Lloyd’s, come in effetti per altre assicurazioni, sarà che trasferiremo il business nella Ue e questo ovviamente avrà un impatto su Londra”.
Le sue parole, riportate stamane con ampio rilievo dal Financial Times, fanno tremare la City, dove il settore assicurazioni impiega 50 mila persone e contribuisce a oltre un quinto dei guadagni annuali. Nelson ha sottolineato che la Lloyd’s manterrebbe comunque il quartier generale e la propria sede legale nella capitale britannica. Ma anche spostare in un altro paese della Ue soltanto una parte delle operazioni sarebbe una decisione, concreta e simbolica, di enorme effetto per una delle due capitali (insieme a New York) della finanza mondiale. Il presidente della Lloyd’s non ha indicato città candidate a ospitare un possibile trasloco. Secondo indiscrezioni riportate dal quotidiano della City, tuttavia, Dublino sarebbe fra le ipotesi più accreditate, perché vicina a Londra, di lingua inglese e già sede delle operazioni europee di numerose aziende globali (a dispetto delle recenti polemiche fiscali su Apple e altri giganti della rivoluzione digitale).
Intervistato dalla Bbc, Nelson ha aggiunto che il governo britannico dovrebbe rendere note le sue intenzioni riguardo a Brexit il più presto possibile. “Il business delle assicurazioni è piuttosto mobile”, ha detto il presidente della Lloyd’s. “Se permane l’incertezza per un periodo prolungato, dovremo mettere in moto i nostri piani contigenti”. Un’allusione a trovare un’alternativa a Londra.
Ma il governo di Theresa May non sembra in procinto di dare indicazioni chiare entro breve tempo. La nuova premier afferma che non invocherà l’articolo 50 del trattato europeo, che apre un periodo di negoziati di due anni sulla secessione dalla Ue di uno stato membro, prima dell’inizio del 2017. Al G2’ in Cina, May ha escluso l’ipotesi di una “immigrazione a punti” tipo quella esistente in Australia (che regola l’ingresso degli immigrati a seconda delle necessità di posti di lavoro nei diversi settori dell’economia nazionale), che era stata una delle posizioni apparentemente preferite dal fronte di Brexit nella campagna per il referendum del giugno scorso. E il ministro a cui la premier ha affidato la trattativa con Bruxelles, David Davis, viene prese in giro da tutti i giornali del regno per essersi presentato ieri in parlamento ripetendo che la Gran Bretagna uscirà dall’Unione Europea, ma senza fornire alcun dettaglio su come, quando e con quali condizioni.
“Brexit significa Brexit”, continua a ripetere Theresa May, ma al summit cinese la premier ha dato l’impressione di raffreddare quello che appariva un suo ottimistico entusiasmo per il divorzio da Bruxelles, affermando che uscire dalla Ue porterà “tempi difficili” nel Regno Unito, a dispetto delle statistiche finora sostanzialmente positive sull’andamento dell’economia dopo il referendum. Statistiche basate sulla psicologia dei consumatori più che su conseguenze di Brexit che non ci sono ancora state, come potrebbe essere appunto l’uscita dal singolo mercato e l’esodo
di società ed aziende da Londra. Quale la Lloyd’s, la cui amministratrice delegata, Inga Beale, era schierata decisamente per rimanere nella Ue e viene ora inserita dal Financial Times nella lista di “30 uomini e donne” cruciali per il futuro post-Brexit della City.
Fonte_www.repubblica.it/economina/finanzia