di Luigi dell’Olio – Repubblica Affari & Finanza

La direttiva entrerà in vigore il 1° gennaio con l’intento dichiarato di migliorare la sicurezza delle imprese del settore garantendo la loro tenuta anche in caso di crisi dei mercati: più efficienza e trasparenza

Al via Solvency II, ma i rischi sono sempre in agguato. Si parla di rivoluzione per il settore assicurativo con l’arrivo di Solvency II, che entrerà in vigore in vigore il 1 gennaio del prossimo anno. Come dire, domani.

Questa direttiva europea intende estendere al mondo delle assicurazioni il quadro regolamentare di Basilea II nato per le banche.

L’intento dichiarato è di migliorare la sicurezza delle imprese del settore, garantendo la loro tenuta anche in caso di nuove crisi dei mercati. Un obiettivo che tuttavia non è di facile realizzazione, a sentire gli esperti del settore. Che chiamano in causa gli aspetti non considerati dal legislatore comunitario e il rischio che le lodevoli intenzioni a monte della direttiva finiscano cori il produrre effetti indesiderati come la scarsa redditività delle compagnie, che allontanerebbe gli investitori.

Replicando quanto previsto per le banche dalla normativa di Basilea, Solvency II introduce una serie di regole per consentire alle compagnie di identificare e misurare con più efficienza e trasparenza che in passato i rischi assunti, con riferimento a tre ambiti principali (di mercato, quelli operativi e di credito) e altri trasversali (come i rischi reputazionali, di concentrazione del credito e quelli strategici).

In sostanza, le compagnie sono tenute a elaborare un sistema di risk management per capire se sono davvero in grado di fronteggiare i rischi che potrebbero manifestarsi negli anni a venire. Solvency detta inoltre le regole relative alla trasparenza, sia verso le autorità di vigilanza, che nei confronti dei mercati, in modo che vi sia una maggiore consapevolezza diffusa sui bilanci delle aziende di settore. Si cerca di tutelare allo stesso tempo gli azionisti dell’impresa e i consumatori che acquistano i prodotti assicurativi. “L’obiettivo di introdurre nuove regole per evitare nuove situazioni di crisi, con ricadute pesanti tanto per le aziende, quanto per gli investitori è meritorio”, commenta Marcello Messori, professore di Economia al Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss. “Quando si introducono nuove regole, se sono ben congeniale, hanno l’effetto primario di restituire fiducia sul mercato”. Tuttavia è proprio l’utilità della normativa per eventuali problemi futuri a sollevare dubbi. “Le normative vengono scritte partendo dalle cause che hanno scatenato le crisi precedenti”, ricorda l’economista. “Ma non è detto che i futuri problemi verranno causati dalle medesime ragioni”. Come dire, un limite intrinseco per l’ambito regolamentare, che spesso fatica a evolvere con la stessa rapidità del mercato.

Giampaolo Gabbi, co-direttore dell’Osservatorio Solvency II di Sda Bocconi, ricorda peraltro che “la definizione dei principi che regolano questa direttiva ha preso il via prima della grande crisi e questo inevitabilmente si riflette sulla portata dei suoi interventi”.

Cosi, dato che l’entrata in vigore è dietro l’angolo, per l’esperto è necessario intervenire in corso d’opera, relativamente a due ambiti. “Oltre a riformare a monte la struttura della normativa per tenere in considerazione quanto accaduto sui mercati in questi anni, è utile riformare gli interventi a valle, superando in particolare i possibili intrecci tra emittenti e sottoscrittori”.

Un problema che si verifica perché i prodotti assicurativi non finiscono solo nei portafogli dalla clientela retail, ma anche dai soggetti finanziari. Non solo. Le stesse assicurazioni, come prova un recente studio commissionato da BlackRock all’Economist Intelligence Unit, stanno cambiando pelle, con investimenti in settori alternativi, come il debito immobiliare nel settore commerciale, il prestito alle Pmi e i mutui commerciali, attività che tradizionalmente facevano capo alle banche. Inoltre spesso le polizze cornbinano aspetti assicurativi e finanziari (si pensi al caso delle unit linked). “In questi casi”, sottolinea Gabbi, “il default di una delle componenti sottostanti rischia di diffondere l’influenza negativa sull’intero prodotto”.

Vi è infine un’altra criticità sollevata da alcuni addetti ai lavori: le metriche di valutazione dei rischi sono diversi tra un Paese all’altro e non si è proceduto a fissare criteri omogenei per tutti gli aspetti considerati dalla normativa, come invece accaduto per gli istituti di credito attraverso la creazione dell’unione bancaria.

Fonte: Intermedia Channel_Il Quotidiano Assicurativo On Line_Today News_21.12.2015